Cosa si può dire su Pablo Picasso che non sia già stato detto e stradetto? Non saprei. E infatti, nonostante abbia visto questa mostra più di un mese fa, ho deciso di scrivere solo ora questo articolo. E ho deciso di riportarvi il punto di vista dei miei studenti, quando per la prima volta parlo loro di questo grande artista e del Cubismo.
Naturalmente tutti loro conoscono già, almeno per sentito dire o per averlo studiato alle medie, Pablo Picasso. Sanno che Guernica è una tra le sue opere più importanti, che era un donnaiolo e, soprattutto, sanno (o meglio, credono) che anche i loro cuginetti di 3 anni saprebbero fare opere migliori delle sue.
Li aspetto sempre al varco, su questo ultimo punto, di solito ci mettono un po’ a tirarlo fuori, perché forse immaginano che mi possa trasformare in un SuperSayan dell’arte, oppure (questo è ciò che spero) in fondo non ci credono realmente.
Di tutta risposta dico loro che Picasso sarebbe molto contento di ricevere questo complimento, visto che era solito dire: “A quattro anni dipingevo come Raffaello, poi ho impiegato una vita per imparare a dipingere come un bambino.” E già, solo questo, li scombussola un po’.
Successivamente metto al centro dell’aula una sedia e chiedo ad alcuni di loro, dislocati in parti diverse, quante gambe abbia, quante gambe di quella sedia riescono a vedere dalla loro prospettiva.
Chi due, chi zero, chi quattro… giochiamo al lotto per un po’.. ma finalmente però tutti iniziano a capire concretamente: ognuno di loro, nonostante veda un numero diverso di gambe, sa però che quella sedia ne ha quattro, perché la conosce intellettualmente e ha ben chiara, nella propria mente, la sua immagine globale.
Quindi iniziamo a prendere atto del fatto che il Cubismo è un’elaborazione mentale e personale della realtà, che Picasso (ma soprattutto Braque, ma di lui magari parlerò un’altra volta) intendeva l’arte come qualcosa che non dovesse più trovare le proprie motivazioni solo nella realtà visibile, quella che i filosofi chiamano fenomenica, cioè percepibile attraverso i fenomeni nei quali si manifesta, ma che ora l’arte poteva permettersi di aprire la propria indagine anche al campo sconfinato della realtà interiore.
Finalmente iniziano a capire la portata della più grande rivoluzione artistica del secolo!
Non più un’arte imitatrice della natura, ma un’arte autonoma, capace di cogliere non più un solo aspetto per volta, necessariamente univoco e limitato, ma capace di percepirne diversi in successione. Proprio come la nostra mente è abituata a fare con i millemila pensieri al minuto che ordina, organizza e disciplina.
Sicuramente, faccio notare loro, le elaborazioni teoriche che il matematico e fisico Albert Einstein stava maturando tra il 1905 e il 1916 sul piano della ricerca scientifica contribuirono non poco al raggiungimento di questo grande traguardo, elaborazioni teoriche tese appunto a dimostrare che spazio e tempo non sono entità assolute, tra loro distinte e indipendenti, ma rappresentano invece l’ascissa e l’ordinata di uno stesso piano cartesiano che serve a descrivere la velocità, cioè lo spostamento fisico nello spazio e nel tempo.
Come sempre, del resto, l’arte è lo specchio della società in cui viene prodotta.
Ma non voglio esagerare mai con questi parallelismi, anche perché bisogna sempre tener conto che agli artisti interessa soprattutto fare arte. E sarà proprio Picasso a dichiarare: “Si è cercato di spiegare il cubismo con la matematica, la trigonometria, la chimica, la psicoanalisi, la musica e non so cos’altro ancora. Tutto questo è stato solo letteratura, per non dire che sono state sciocchezze, che non hanno fatto altro che annoiare la gente”.
Giunti a questo punto abbiamo quindi finalmente chiarito che con il Cubismo, per la prima volta, si inizia a non collocare più il soggetto del quadro nella scatola geometrica dello spazio, come l’Occidente aveva iniziato a fare da Brunelleschi in poi. I ragazzi capiscono che la loro cara prospettiva lineare è solo uno dei tanti metodi che abbiamo a disposizione per rappresentare la realtà, non il più importante e nemmeno il più corretto (qui bisognerebbe fare un approfondimento sulla differenza tra vero e verosimile… prossima volta) e soprattutto capiscono che l’oggetto o la persona ritratta non vengono rappresentati come appaiono, ma sono quasi evocati, come in un flash improvviso, capace però di delinearne contemporaneamente tutte le caratteristiche salienti.
Capiscono quindi che il Cubismo di Picasso, adottando le prospettive multiple e rovesciate degli artisti primitivi, cercò un nuovo modo di rappresentare la realtà, distruggendo la visione pittorica tradizionale. Nelle sue opere, attraverso un processo prettamente intellettualistico, Picasso operò una scomposizione degli oggetti e dello spazio circostante e una sovrapposizione di singole vedute ottenute da punti di vista differenti.. Wow!!
La magia a questo punto è che chi a inizio lezione aveva affermato un po’ spavaldamente che il suo cuginetto sarebbe in grado di fare meglio, ora ha la bocca spalancata.
Per concludere e tornare al nostro punto iniziale, cioè Pablo Picasso e la mia difficoltà a dire qualcosa di nuovo sull’argomento, vorrei terminare questo articolo con una delle sue citazioni che preferisco e che secondo me, in poche righe, riesce a dire molto più di quello che critici e non critici hanno da sempre cercato di fare in pagine e pagine a lui dedicate: “L’arte non è l’applicazione di un canone di bellezza ma ciò che l’istinto e il cervello elaborano dietro ogni canone. Quando si ama una donna non si comincia sicuramente a misurarle gli arti”.
Prima di tutto vorrei dire che Picasso di certo eccellentissimo artista non avrebbe mai comunque potuto raggiungere la grandezza di un Raffaello, comunque il mio discorso verte su altro. Dal De Pictura di Leon Battista Alberti si sono gettate le basi del raffigurare sul piano da “disegno”, la “historia” di un evento e da allora mi spiace doverlo dire, ci si basa ancora completamente per fare arte e anche cinema, in prospettiva, colore, luce, ombra. L’altro punto è questo, la fuoriuscita cubista del soggetto dal suddetto piano o quadro era già stata elaborata successivamente all’ Alberti da Leonardo e Michelangelo, vedi per esempio la Battaglia dei Centauri dove il gruppo sembra continuare fuori dal quadro o la Battagli di Anghiari, un incompiuto e rivoluzionario dipinto che ci racconta oltre le sue estensioni la storia “dinamica”, concludo dicendo che Picasso si è servito dell’insegnamento di questi grandi ed eterni classici per elaborare le sue successive opere nelle pose, posture dei corpi e visione piramidale di elaborazione leonardesca anche in Guernica.